Elena, avvocato penalista, vive a Dublino con il figlio tredicenne Marco, e il suo compagno Joseph. L’occasione per tornare a Roma le è data dalla festa organizzata dagli ex compagni di liceo per festeggiare i quindici anni dalla maturità, e sarà proprio l’incontro con i vecchi amici a cambiarle completamente la vita. Decide, infatti, di partecipare alla manifestazione dei no-global organizzata nella capitale per protestare contro il liberismo dei paesi occidentali e si trova coinvolta nei disordini causati dal lancio di un ordigno. Fermata dalla DIGOS insieme a decine di manifestanti, sarà l’unica accusata per la morte di un giovane carabiniere. Il carcere vissuto da detenuta sarà, per Elena, un’esperienza forte e sconvolgente.
Il carcere ti segna. E questo non è un punto di vista. E’ l’unica verità vera.
Elena è innocente lei lo sa, Elena è un avvocato, crede nella giustizia ed è sicura che presto questo sarà solo un brutto ricordo. Quello che non sa però è che in questo momento non cercano il vero colpevole ma solo un capro espiatorio per poter dire che giustizia è stata fatta. Inizia per lei un incubo lungo, molto lungo nel carcere di Rebibbia per poi terminare in quello della Giudecca. Le giornate all’interno del carcere sono lunghe, molto lunghe e la convivenza non è facile perché all’interno della stessa piccola cella convivono donne completamente diverse con bisogni spesso opposti. Elena per non soccombere si aggrappa alla sua innocenza ed è questa consapevolezza che le da la forza di ascoltare ed aiutare altre donne, una fra tutte Fernanda a cui Elena fa una promessa la notte di Natale del 2001. In parallelo alla storia di Elena c’è la storia di Romeo, un giovane magistrato che sta conducendo un’importante inchiesta su delle persone potenti e molto in vista. Elena e Romeo sono legati da un filo sottile, invisibile, una sorta di speranza che li porterà a mettere la parola fine a dei capitoli fin troppo lunghi della loto vita. Parlare del carcere non è facile, per molti è un tabù per altri qualcosa di superficiale, spesso se ne parla senza averne una vera conoscenza ma solo per esprime un disprezzo per i detenuti, perché che ci piaccia o no, quasi sempre alla parola detenuto se ne affianca un’altra dispregiativa. Chi ne parla questa volta o meglio chi ne scrive è Stella Magni, una donna che si è lungamente documentata sul carcere e ha visitato personalmente quello femminile della Giudecca. L’autrice come una funambola racconta la vita all’interno del carcere femminile cercando di rimanere sempre neutrale, con la consapevolezza che sbilanciarsi troppo da una parte o dall’altra l’avrebbe portata irrimediabilmente a dare un giudizio personale. Con grande maestria Stella racconta cosa significa vivere in un carcere, dei legami scelti e quelli imposti con le altre detenute, dei momenti di intimità e delle violenze, dell’importanza del recupero e del tenersi impegnati ogni giorno altrimenti la depressione si impossessa di ognuna di loro. La cosa che ho apprezzato moltissimo è che l’autrice non giudica, non giudica le detenute per quello che hanno commesso ma nemmeno le difende. Nessuna di quelle donne tranne Elena si professa innocente anche se colpevole, ognuna di loro ammette le loro colpe ma da anche voce a cosa le ha spinte a tali gesti. Spesso persone che hanno perpetrato violenza sono state loro stesse vittime di violenza da bambine, spesso convivono con aguzzini, sfruttatori o sono obbligate a prostituirsi per non essere uccise loro o i loro figli. No, non sono innocenti ma non sono nemmeno i mostri di cui si riempiono le prime pagine dei quotidiani.
Titolo: Le detenute
Autore: Stella Magni
Genere: Narrativa contemporanea
Pubblicazione: 19 Gennaio 2006
N° pagine: 184
Casa Editrice: Avagliano Editore