Nahr è rinchiusa nel Cubo: tre metri quadrati di cemento armato levigato, privata di ogni riferimento di tempo, con i suoi sistemi di alternanza luce e buio che nulla hanno a che vedere con il giorno e la notte. Vanno a trovarla dei giornalisti, ma vanno via a mani vuote, perché Nahr non condividerà la sua storia con loro. Il mondo lì fuori chiama Nahr una terrorista e una puttana; alcuni forse la chiamerebbero una rivoluzionaria o un esempio. Ma la verità è che Narh è sempre stata molte cose e ha avuto molti nomi. Era una ragazza che ha imparato, presto e dolorosamente, che quando sei un cittadino di seconda classe l’amore è un solo tipo di disperazione; ha imparato, sopra ogni cosa, a sopravvivere. Cresciuta in Kuwait, è una ragazza arrivata in Palestina con le scarpe sbagliate e che, senza andare a cercarseli, trova scopi, passione politica, amici. E trova un uomo dagli occhi scuri, Bilal, che le insegna a resistere; che prova a salvarla ma quando è già troppo tardi. Nahr si mette seduta nel Cubo e racconta la storia a Bilal. Bilal che non è lì, che forse non è più neanche vivo, ma che è la sua unica ragione per uscire fuori.
Non avevo ancora pensato a come si sarebbe delineato il mio futuro, ma sentivo che in qualche modo era deragliato.
Per il lavoro, per il fratello, per poter mangiare, per la famiglia, fino a che punto una donna si deve umiliare? Chi e quante cose vengono prima della sua dignità? Nahr le ha passate tutte, non si è mai risparmiata, non ha pensato al male che infliggeva a se stessa, pensava solo agli studi del fratello, al cibo da mettere in tavola per tutta la famiglia, al benessere dei suoi cari e non le importava che il suo corpo fosse solo merce di scambio. Hanno acquistato il suo corpo pezzo per pezzo e lei non ha dimenticato, li ricorda tutti uno per uno, lì dentro al cubo di nove metri quadrati in cui si trova rinchiusa. Peggio di una prigione, non ha nessun diritto, luci e musica ad intermittenza, volume insopportabile per tenerla sveglia, per intontirla ma soprattutto per falla cedere e rivelare loro tutto ciò che sa. Sono passati molti anni, il suo viso è invecchiato e ingrigito ma lei non si mai piegata a chi con la forza e le torture governa la Palestina. Dittatore e miliziani trattano le persone nello stesso modo in cui trattano la terra, violenze, stupri, uccisioni di massa, la legge non esiste, ogni uomo, donna o bambino deve sottostare alla dittatura altrimenti la morte sarà la cosa più lieve che gli possa capitare. Tra questo dolore e i soprusi Nihar trova l’amore, il coraggio e la forza, incontra Bilal e anche lui come lei vuole libertà per il suo paese. La felicità arriva per un momento, uno solo, li sfiora e se ne va…Drammatico, duro, crudo oltre l’immaginabile questo strepitoso romanzo racconta la violenza perpetrata sugli uomini e sulla Palestina. Una donna e il suo futuro, il suo coraggio e la sua forza di andare avanti, sopportare oltre ogni limite ciò che la guerra le infligge. La straordinaria storia di un legame con la famiglia per cui lei tutto è disposta a subire. Un continuo andare avanti alla ricerca della felicità e dell’amore che all’improvviso arrivano e dentro al suo cuore si annidano. L’autrice racconta cosa veramente accadde sotto la dittatura di Saddam Houssein, quali orrori il resto del mondo ha fatto finta di non vedere. Un romanzo che mi ha fatto soffrire, mi ha appesantito l’anima, mi ha tolto il sonno ma mi ha confermato che per la libertà gli esseri umani sono disposti a sopportare tutto.
Libro in collaborazione con Feltrinelli
Titolo: Contro un mondo senza amore
Autore: Susan Abulhawa
Genere: Narrativa Contemporanea
Pubblicazione: 4 Luglio 2020
N° pagine: 368
Casa Editrice: Feltrinelli