Anna e suo padre sono “due pupi mossi dalla stessa coppia di aste di metallo”, i fili che li legano sembrano destinati a non spezzarsi mai. Ma non può essere così – non è mai così – e a diciannove anni, dopo una malattia che brucia il tempo, Anna perde il padre. Il rispecchiamento in lui è così forte che Anna, perdendolo, perde sé stessa, si confonde, senza il suo sguardo è come se fosse diventata niente, e avesse bisogno di altri occhi per riconoscersi e conoscersi. L’attraversamento del lutto diventa perciò, necessariamente, ricerca di sé, passando per la scarnificazione del corpo, il suo oltraggio. Trasferitasi da Napoli a Roma, Anna si ritrova a doversi mantenere – la madre non può aiutarla nelle spese né lei vuole gravare –, così si indirizza a un prete grazie al quale la sua coinquilina ha trovato lavoro come ragazza delle pulizie. Il prete però la vede bella e le propone un lavoro meglio pagato, in un night club. Anna è turbata, pensa di rifiutare ma poi accetta, e c’è repulsione e attrazione nel suo sì. Mescolato al racconto delle notti in cui si trasforma in Bube, con i muscoli tesi attorno al palo della lap dance, riemerge il passato, riemergono i vicoli e i bassi di Napoli, l’infanzia delle veglie con la nonna, i pomeriggi a fare i compiti con i gemelli Alfredo e Cristina, e soprattutto il padre, la malattia che scompiglia tutto, la possibilità di esistere nonostante la morte.
Tornare a Napoli significa sbattere i denti contro la ringhiera della tua assenza
Amano farlo i turisti, amano venire nei Quartieri Spagnoli e fotografare i panni stesi, convinti che Napoli sia questo, confusione, gente che urla e vestiti all’aria. Non sanno che Napoli è molto di più, che Spaccanapoli è cuore e anima, è un legame per sempre, una mano tesa. Ed è proprio in questo quartiere che c’è la casa di Anna e li dentro ci sta tutto il suo mondo, ci sta suo padre che ogni volta che la guarda le fa capire di essere amata. Quello tra Anna e il padre è un legame vero, forte, è un amore profondo in senso pulito, un legame in cui nemmeno la madre è riuscita ad entrare mai. Il padre la spinge ad andarsene da questa Napoli che poco offre, da questi palazzi che cadono a pezzi ma la verità è che la spinge ad andarsene dalla morte che lo sta per portare via. Anna arriva per studiare nella capitale ma qui tutto costa così un lavoro è d’obbligo e si affida ad un prete che ha già fatto favori ad altre ragazze. Anna non sa che la porta che sta per aprire sarà quella dell’inferno e a sue spese capirà che non c’è differenza tra le luci del night e quelle che illuminano le chiese, tra la mano protesa a toccarle il culo e quella che accende i ceri. Che lo schifo non si nasconde tra l’immondizia dei vicoli ma tra i vestiti eleganti e i crocefissi al collo, che più alto è il livello e più importanti sono le persone più il marciume si nasconde sotto i vestiti. Dissacrante è il termine esatto per descrivere questo romanzo, che arriva dritto allo stomaco come un pugno. Se la porta di casa a di Anna a Napoli accoglie benevolmente il lettore quella del night lo sbatte a terra e lo calpesta. Con gran coraggio l’autrice alza il velo che ricopre gli intoccabili e ne mostra il lato oscuro. Ma questo meraviglioso libro è anche un romanzo sulle assenze, del padre che muore e della madre che non ha ancora smesso di essere a sua volta figlia. Una storia di amicizia e di legami con la propria terra che anche se non risplende sa comunque amarti. Un incubo ad occhi aperti dove chi per convenienza molto semplicemente gira la testa dall’altra parte.
Libro in collaborazione con FELTRINELLI
Titolo: Cercando il mio nome
Autore: Carmen Barbieri
Genere: Narrativa Contemporanea
Pubblicazione: 7 Gennaio 2021
N° pagine: 224
Casa Editrice: Feltrinelli